sento forte questo
momento di passaggi generazionali, non
facili ma necessari, dove vorrei far prevalere la ricchezza di ognuno,
l'appartenenza ad una grande famiglia che ha pregi e difetti , la condivisione di una meta comune pur
mantenendo le diversità, che vivo come ricchezza. Ognuno ha portato il suo frammento
per costruire il mosaico della storia che ci accomuna e rivela un
"disegno" che, guardato dall'alto, ci comprende tutti con le nostre
luci ed ombre, pieni e vuoti, alti e bassi, ... un mandala di umanità. Radunare
i Fondatori , gli ex Presidenti e i Consiglieri, i Rappresentanti delle 5 Scuole ei
Soci Anziani e Giovani per dare
testimonianza delle radici, del tronco e della chioma dell’albero AICCeF, è stata una possibilità concreta di
raccogliere eredità “viva”, ascoltare “parole
“madri” per proseguire e condividere nutrimento per tutti. Le parole madri
hanno la funzione di motivare e stimolare la gestazione e la nascita di una
comunicazione nuova che proviene da una
danza interiore. Sono parole molto stimolanti per le diverse tappe della
vita personale ed associativa che mettono in risonanza sia che le pronuncia
sia chi le riceve. Abbiamo tentato in questo modo di dare testimonianza diretta
della nostra storia, del cammino fatto, di quello che stiamo facendo e delle visioni
e dei desideri per il futuro.
PUBBLICHIAMO LE PAROLE DEI FONDATORI, DELLE RADICI DELL'AICCEF
ORIGINE
Di
Alice Calori
35
anni di vita di un’associazione professionale rimandano ad una domanda e a un
servizio che ne ha consentito il sorgere, ne ha progressivamente delineato la
funzione e il ruolo in un contesto sociale che esigeva risposte nuove ai bisogni
nuovi che urgevano nella società italiana del dopoguerra.
E’stato
don Paolo Liggeri, reduce dai campi di concentramento nazisti, che aveva
maturato la convinzione che la ricostruzione avrebbe dovuto partire dalla ricostruzione e
dalla promozione dei legami familiari e che la domanda delle famiglie in
disagio e delle persone in difficoltà di relazione andava intercettata nella
sua globalità e nella dinamica delle loro relazioni.
E’
nato così nel 1948 il Consultorio familiare che don Liggeri e i suoi collaboratori hanno inteso chiamare prematrimoniale e matrimoniale
per sottolineare l’attenzione al
matrimonio che fonda, secondo la costituzione italiana, la famiglia .
Dire
globalità della domanda e dinamica delle relazioni è rimandare a una
metodologia fondata sul lavoro di équipe cioè sull’interazione delle professioni che intervengono nel
servizio consultoriale.
Una
domanda va accolta ed un’èquipe va coordinata, ed ecco delinearsi la funzione e
il ruolo di un nuovo operatore: il consulente familiare. Si è discusso
all’inizio se tale compito potesse essere svolto dall’assistente sociale,
figura già riconosciuta in Italia in ambito sociale, ma si è
concluso che la formazione alla consulenza, era sì di ogni operatore coinvolto,
ma dava credito ad un ruolo nuovo che qualificava un operatore nuovo: il
consulente familiare.
Tutto
questo, richiedeva una formazione specifica
che altri paesi in Europa, soprattutto Francia
ed Inghilterra avevano già
sperimentato da tempo.
Fu
così, che don Liggeri avvertendone l’urgenza mandò me a Parigi per apprendere
dalle istituzioni fondate dal prof. Lemaire il percorso formativo della nuova
professione.
Da
quell’epoca si è dato inizio alle scuole di formazione alla consulenza
familiare per consulenti familiari, una delle quali, a Milano nel 1975 è stata
promossa sotto l’egida dell’Ente pubblico regionale e organizzata e gestita
dall’Istituto La Casa.
A
questa professione si è voluto dare un riconoscimento giuridico e questa fu
l’iniziativa del prof. Sergio Cammelli.
35
anni fa radunò a Bologna cinque operatori di Consultorio: Giovanna Bartolini,
Alice Calori, Anna Ottani, Giancarlo Marcone, Lino Roberto e altri interessati,
che sottoscrissero l’atto notarile che sanciva
la nascita dell’Aiccef, cioè
dell’associazione dei Consulenti coniugali e familiari.
Il
resto è storia conosciuta che insieme abbiamo, con passione e tenacia, vissuto
e costruito e alla quale auguriamo un futuro ricco di valore e di bene.
SILENZIO
Di Luisa Malesani
Benciolini
Silenzio,
carico di attesa, pausa di accoglienza perché chi è davanti a me cerchi se
stesso e quello che vuole svelare a me, perché svelandolo a me lo sveli anche a
se stesso.
Silenzio,
non mutismo; attesa che porta all’ascolto di sé, pausa nel dialogo.
Silenzio
“partecipe” della difficoltà dell’altro nel rivelare i grandi sentimenti che lo
abitano : paura, sconcerto, vergogna, timore, angoscia.
Silenzio
“partecipe” ed empatico: sono capace di aspettare, mi metto in ascolto profondo
di te. Non ho bisogno di provocarti con le mie domande, non stiamo perdendo
tempo, non sono impaziente. Ecco, appunto: sono paziente, cioè posso trasferire
più in là la presa di coscienza dei tuoi problemi, preoccupazioni, confusioni.
Posso aiutarti, tacendo, a fare esperienza di questa pazienza che è virtù che
ti serve tanto nel tuo disagio. Posso aiutarti a fare esperienza che sei
importante, che sei riconosciuto importante perché sei tu, qui davanti a me, a
prescindere da quello che mi vorrai o mi saprai dire, perché sei tu vivo/a qui
davanti a me e in questo clima disteso, pacato, paziente io ti aspetto e so che
sei una persona e che posso darti questo tempo di silenzio per dare senso alle
parole, agli interrogativi che ci poniamo insieme.
E’
bello, anche, al termine dell’incontro, lasciare in sospeso un silenzio che
custodisce domande rimaste aperte; non c’è bisogno di concludere sempre tutto,
magari prolungando la seduta: il lavoro fatto sedimenta, evolve, si incontra e
scontra con la concretezza fuori di qui, nelle piste della tua vita.
So che c’è anche in me l’attesa della prossima volta: come
sarai, cosa mi porterai? Conservo dentro a me lo stupore di non darti per
scontato/a, di non sapere nemmeno io come andrà a finire, anche quando mi
sembra prevedibile. Questo intervallo crea un silenzio salutare tra noi: ti
posso lasciare, sia pur nel pieno di una tempesta emozionale, facendoti fare
esperienza che ce la puoi fare, che puoi e sai aspettare di reincontrarci, che
nulla di importante può raggiungersi con la fretta. La fretta genera rumore e
frastuono e parole inutili, anche cattive nella tua vita. Per affrontare
situazioni difficili e per trovare decisioni soddisfacenti bisogna fare
silenzio dentro di sé per contemplare, magari con forte emozione, ciò che è
buono e salvabile di te, nelle tue relazioni; cosa invece va cambiato e come,
ciò che è possibile con le tue risorse.
Silenzio,
quindi, che invita pure me alla contemplazione di ciò che è buono e vivo anche
in questa mia relazione di consulenza con te: ti posso aiutare anche
consegnandoti al silenzio, così che tu possa imparare ad ascoltarti (necessità,
bisogni, desideri, emozioni e sentimenti, che senso hanno nella tua vita,
intorno a quali valori li attorcigli per fare un progetto).
Ed è una esperienza esperiente,
che puoi continuare cioè ad attuare anche fuori di qui, (dal setting) dove i
silenzi sono facilmente mutismi che veicolano rancore, rabbia, permalosità,
odio, nonsenso, o si dissolvono in parole inutili, offensive, dolorose,
diventano chiasso, negazione della propria e altrui dignità, provocatrici di
escalation di aggressività distruttiva: diventano, insomma, silenzio
assordante.
Come
nella musica, dove il rumore si trasforma in
suono perché è cadenzato col silenzio duttile delle pause, tra una
battuta e l’altra, tra un fraseggio e il successivo, e diventa armonia, così
anche questo silenzio tra noi non è solo un interstizio: è necessario alla
parola perché essa esista significativamente, cioè piena del significato
colto ascoltandoti, è parola della tua
verità.
In
fin dei conti anche Dio è silenzio, e nel silenzio stava col Verbo, finché, con
l’incarnazione, il Verbo è entrato nel tempo, lasciando che il suo silenzio
profondo, il suo mistero, si faccia Parola per gli uomini, con gli uomini e
degli uomini.
TOLLERANZA
Di Gabriella Puzzarini
La
tolleranza è un atteggiamento di rispetto nei riguardi dei comportamenti, delle
idee o delle convinzioni altrui, anche se in contrasto con le proprie.
La
consulenza è un processo d’incontro da persona a persona, centrato sul rapporto
che si instaura.
Imparare
ad accettare e apprezzare la diversità degli altri è una delle cose più
importanti per creare una relazione sana e duratura.
Per
una relazione sana di aiuto, è importante aver chiaro il valore della persona
che è sacro e uguale in qualunque latitudine dell’universo.
GRATUITA’
Di Rosalba Fanelli
Ho scelto
questa parola perché, per noi, Consulenti della prima ora, era cosa scontata
donare un po’ del nostro tempo al Consultorio in forma esclusivamente gratuita.
Gratuità
indica lo spirito e la qualità della prestazione fornita che può essere gratis
e non per questomeno professionale,
anzi! Ma può essere anche una
prestazione remunerata fatta con le stesse disposizioni d’animo di quella
gratis.
Infatti,
la gratuità è un moto spontaneo dell’Essere, che non implica calcolo o
reciprocità. Un’istanza della coscienza
dell’essere umano, che sente e desidera mettersi al servizio della persona
dell’altro da sé, nella gratuità di una relazione d’aiuto, sotto forma di ascolto
e di accettazione piena dell’altro.
Gratuità
è valore espressivo e nello stesso tempo
ricchezza della persona, che si libera e guarisce dalla ricerca del
possesso, del narcisismo, dell’autoaffermazione, aprendosi all’incontro
interpersonale con libertà, umiltà, umanità, empatia, professionalità.
Ovviamente,
sarebbe riduttivo e fuorviante far coincidere le parole gratuità e gratis. Non sono sinonimi, hanno radici comuni
(latino), ma significati un po’ diversi. Gratis viene gratia e cioè graziosamente, per favore. Gratuità è la possibilità di fruizioni senza pagamento
(Devoto Oli).
Sarebbe,
pertanto auspicabile, che tutte le prestazioni professionali, anche a pagamento,
avessero come sfondo la gratuità come risorsa per relazioni autentiche, profonde, di vero
aiuto. Come dono di sé..
Non
è difficile incontrare persone che si chiedono come sia possibile che qualcuno spontaneamente arrivi
ad interessarsi ai bisogni di un altro, senza il pagamento di un corrispettivo
e magari facendosene carico come fossero
i propri bisogni? La risposta è nel suo contenuto etico. Dell’etica della
solidarietà quale attitudine umanitaria che si manifesta come urgenza intima
nei confronti di chiunque si trovi in stato di necessità. (Cfr.gli scritti di. p. Gianni Colombo).
ACCOGLIENZA
di Gabriela Moschioni
La
prima emozione che mi suscita la parola “accoglienza “ è un grande bisogno di
essere accolta,. Scorro velocemente con la memoria del cuore da chi mi sono
sentita accolta nella mia infanzia e nella mia vita. Il primo ricordo è un
sapore e un profumo : il sapore del burro spalmato sul pane, il profumo di
cipolla che restava sul pane perché mio nonno quando ci dava la merenda
contemporaneamente preparava il minestrone per la cena.
Sono
la terza di sei fratelli ed ho avuto un’infanzia allegra e in compagnia, mi sentivo
“incastonata ed accolta” in questo gruppo di bambini molto educati, ma
anche numericamente molto consistente;
anche perché abitavano in una palazzina
in cui al primo piano c’era una famiglia di tredici fratelli..
La
mia mamma era una bravissima … maestra.
Accoglienza
e maternità, maternità fisica in un contesto in cui “avere” un bambino era la
cosa più naturale del mondo, accoglienza della vita, della realtà di quei bambini,
con cui crescevo e sviluppavo un’affettività gioiosa e solidale, una voglia di
accogliere e “tenere” in me e con me le
persone.
Ho
parlato tanto, nella mia lunga esperienza professionale, di capacità di ascolto
di sé e di accoglienza dell’altro, ma le radici di questa apertura, che è quasi
un “bisogno”, stanno proprio nel desiderio di estendere l’enorme carica
affettiva che sento dentro di me agli altri , a tutte le persone che incontro,
dalla vecchietta mia vicina di banco a messa, alla famiglia del mio tabaccaio……
Cosa
significa però “accoglienza” in una relazione professionale di aiuto ?
Significa
prima di tutto restare in relazione con sé prendendo le dovute distanze dalle
nostre emozioni personali del momento, per essere liberi dai nostri problemi,
ma trasparenti e congruenti per vedere, sentire,
percepire la persona che ci sta di fronte, che ci parla con le parole, con
le mani, con gli occhi, … per metterci in relazione da “persona a persona”.
E’
questa la prima accoglienza: sono qui per Te, con Te, con la mia persona, coi
miei valori, i miei problemi, ma adesso conti solo TU che mi fai il grande
onore di raccontarmi la Tua vita, i Tuoi guai, il Tuo dolore.
AccoglierTi significa aver preso contatto con le
mie sovrastrutture, col giudizio che mi sono fatto di Te, per liberarmi , per
rendere “pulita” la mia capacità di accoglierTi
e di mettermi in relazione con quello che sei o con l’immagine che mi
vuoi dare di Te.
AccoglierTi
significa farti vivere anche nel piccolo spazio di un’ora una sensazione di
affettivo interesse, di attenzione assoluta, di contenimento.
AccoglierTi
significa non fare progetti su di Te.
Accoglierti
significa non andare in ansia per la gravità dei tuoi problemi.
AccoglierTi
significa avere pazienza ed aspettare che Tu esprima le Tue priorità senza intervenire o puntualizzare con uno schema
mentale che è mio e non Tuo.
AccoglierTi
significa accettare i Tuoi valori anche se non sono i miei.
AccoglierTi
significa darTi l’humus affettivo e
relazionale che Ti permettano di tirar fuori le Tue potenzialità per vedere
da Te la strada per uscire dai Tuoi problemi.
PERSEVERANZA
Di Giancarlo Marcone
A
cavallo degli anni 1973 e 1974 il Centro Internazionale Studi sulla Famiglia
,CISF, diretto all’inizio da Giovanna Bartholini iniziò a proporre anche in
Italia la figura del consulente familiare, sino ad allora conosciuta, quasi
esclusivamente vedendo le vignette umoristiche pubblicate in “la settimana
enigmistica” Organizzò anche “simulate”. Nella prima interpretai il ragazzo, che messa
incinta la ragazza, si rifiutava di sposarla.
L’UCIPEM,
essendo presidente il prof.
Sergio Cammelli, nel suo quarto Congresso, a Recoaro nel fine
maggio del 1975, proponeva la figura del consulente familiare nelle due
relazioni fondamentali dello stesso Cammelli e soprattutto di don Paolo
Liggeri, direttore del consultorio familiare dell’Istituto la casa Milano,
istituito, primo in Itala, nel febbraio del 1948
Nel
frattempo il Parlamento stava votando la legge quadro n. 405 “istituzione dei
consultori familiari”, approvata il 29 luglio 1975, pubblicata nella gazzetta
ufficiale il 27 agosto 1975.
La
figura del consulente familiare, con la sua professionalità propria e
specifica, compariva tra gli operatori del consultorio familiare solo nella
Legge della Regione Piemonte, la n. 39 del 9 luglio 1976 all’art. 5 «i
consultori familiari possono avvalersi di altri esperti quali consulenti
familiari e pedagogisti.» Detta norma, peraltro applicata solamente dai
consultori del privato sociale, fu richiesta ed ottenuta dall’avv. Giovanni Dardanello,
direttore del consultorio CCF di Torino e da me nella veste di direttore del
consultorio di Ivrea e di delegato
regionale dell’UCIPEM. Eravamo ai tempi precedenti all’istituzione dell’AICCeF.
Nel
frattempo un gruppetto si riuniva, in privato, nell’abitazione di Giovanna Bartholini, per progettare il
percorso da seguire e stendere lo
statuto della nuova Associazione. Lo ricorda la stessa Bartholini
nell’articolo che scrisse in occasione dei venticinque anni di attività
dell’Associazione dal titolo significativo: «Nozze d’argento per un ideale» e
riportato nel n.1\2012 della nostra rivista “il consulente familiare”. Citava il prof. Sergio
Cammelli (l’ideatore), don Paolo
Liggeri (compiaciuto, ma sempre con uno dei suoi sorrisetti benevolmente
ironici), l’amica Anna Giambruno, l’avvocato Roberto Lino (tutti ormai
defunti), In quell’articolo la storica fondatrice e prima Presidente (scomparsa
il 21 marzo 2010), descrive gli entusiasmi, i timori, le perplessità e le
aspirazioni che hanno spinto i fondatori a creare l’AICCeF.
Io
ero in quel gruppetto, che si riuniva periodicamente e frequentemente con
Giovanna Bartholini e con l’avv. Roberto Lino. Predisponemmo l’atto costitutivo
firmato a Bologna
il 5 febbraio 1977 e il primo statuto.
Io
non sottoscrissi l’atto costitutivo in quanto al mattino ero impegnato in una
riunione concernente i consultori familiari presso una commissione della
Regione Piemonte e fui avvisato, quando mi accingevo a partire che non era
necessaria la mia presenza per redigere l’atto notarile.
Negli
incontri preparatori e, in seguito, nei primi Consigli direttivi ci ponevamo
vari problemi:
·
La
consulenza familiare era una professione propria ed autonoma o una posizione
funzionale degli operatori in un consultorio, come previsto dalla legge della Regione Veneto del 17
febbraio 1977 (art. 4) e, in seguito, dalla legge n. 21 del 24 luglio 1978
della Regione Siciliana (art.6).
·
La
consulenza familiare aveva uno spazio specifico tra la professioni
dell’assistente sociale e quella dello psicologo.
·
La
consulenza familiare si esercita solamente in un consultorio familiare o anche
nella libera professione.
·
Per
istituire un Albo professionale, si doveva richiede ai soci una laurea, e in
quale settore accademico
·
L’esperienza
di Carl Rogers negli Usa, di Jean Georges Lemaire in Francia, di Luciano Cupia
in Canada era riproponibile in Italia e come.
Queste
erano le tematiche, che si sono dipanate e sviluppate in seguito.
Oltre
le doti e le caratteristiche personali dei Presidenti e dei componenti il
Consiglio Direttivo, in tutti è calata e si è espressa la caratteristica
della perseveranza, che ha come sinonimi la tenacia e l’assiduità e non ultima,
la resilienza, vista come la capacità di affrontare le avversità della
vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato
positivamente.
EFFATA’ (Apriti)
di Vittoria Zucchini
Pezzi
Questa parola detta da Gesù nel Vangelo di Marco (al
capitolo 7, 31-37) mi ha sempre accompagnato nella mia vita di consulente
familiare. Mi evoca il momento in cui attraverso l'ascolto empatico della
consulenza la persona riacquista la capacità di parola, il momento in cui la
mia apertura di consulente provoca nell'altro il miracolo di una apertura
capace di ritrovare risorse di guarigione. Inoltre nel racconto di questo
miracolo, Gesù prende il sordomuto in disparte e questo mi ha sempre evocato lo
spazio riservato e protettivo della consulenza
e lo tocca instaurando con lui un contatto corporeo e non verbale che
è linguaggio potente anche nella nostra modalità di essere consulenti. Ho
sempre sperimentato una sensazione di miracolo quando una persona, una coppia,
ritrovava questa apertura capace di muovere nuovamente una crescita, una
riflessione su di sé, un cambiamento.
TENEREZZA
di Luciano Cupia
Io
vorrei parlare della tenerezza, però non si può capire la tenerezza senza le
altre mie due T, che sono state ricordate prima: la tolleranza e la trasparenza
Ci
sono state nella mia vita tre persone che mi hanno accompagnato in questo
cammino delle tre T, che adesso sono diventate una cinquantina e io non ci
capisco più niente….
Allora
incominciamo con la prima: la tolleranza. La figura che mi ha tanto
impressionato per la sua tolleranza è stato il cardinale Giacomo Raccaro, un mio grande
maestro, a cui sono stato vicino per tanti anni, quando ero parroco a
Bologna, per quasi 9 anni. La mia parrocchia portava il titolo del monogramma
del cardinale: mater mea fiducia mea, la
Madonna della fiducia. Lo
ricordavo, questo mio maestro, giorni addietro (in occasione della
ricorrenza del Concilio Vaticano II), quando
l’ho accompagnato, tanto tempo fa, in una udienza particolare con papa Giovanni
XXIII. Mi ricordo la scena, ancora mi fa sorridere, perché il papa ci ha
accolti ed aveva una mano in tasca, in cui faceva tintinnare delle chiavi.
Allora io mi sono avvicinato al Cardinale e gli ho sussurrato: “saranno le chiavi di S. Pietro?!” e il cardinale mi ha detto: ”Padre Luciano
stia zitto”!...Io spesso interrompevo, sono stato un biricchino nella mia vita,
anche nelle circostanze così importanti.
E
quindi in realtà il Cardinale è stato per me un padre, un vero padre, mi amava
teneramente e mi ha dato la forza, nella mia vita di usare la tolleranza, e la
capacità di resistere.
La
seconda persona che mi ha accompagnato nella mia vita e mi ha insegnato la
trasparenza, l’altra T, è stata Rosalba Fanelli, che io amo tanto perché è
stata la persona con cui ho condiviso tanti anni di vita e di attività nel
Centro La Famiglia di Roma, che abbiamo
fondato insieme nel 1966. Anzi, come
dico sempre, lei era già lì prima di me, perché i miei superiori mi avevano
preparato l’accoglienza attraverso
Rosalba. Quando io sono giunto a
Roma ho trovato lei che mi aspettava.
L’ultima
persona, a me tanto cara, che mi ha
insegnato la tenerezza, è stato mio zio don Giovanni Cupia, perché mi ha accolto
da bambino quando morì mia madre. Io avevo due anni e ricordo ancora questo
vecchio prete, che mi faceva passeggiare nei corridoi della sua canonica e, in
braccio, mi cullava. Io sentivo la puzza
di tabacco, perché fumava un sacco di sigarette, che ha continuato a fumare
fino alla fine della sua vita (e mi ha insegnato purtroppo a fare lo stesso),
ma sentendo questo profumo di tabacco mi
faceva sentire tutta la sua tenerezza.
Quest’ uomo mi ha fatto da padre, e poichè in casa c’era anche una sorella di
mia madre, Fiamma, anche lui nubile, io sono stato allevato da due celibi
…eppure vedete che è risultato qualche cosa di buono. Un papà e una mamma,
diversi dal solito, che mi hanno donato la tenerezza di vivere…
Questa
è la tenerezza cari amici, la capacità
di amare e di essere amati. Di questo abbiamo bisogno sempre. Non per nulla Gesù dice: amatevi gli uni con
gli altri. Cercate di amarvi e amate le persone che vengono a voi, amate tutti,
anche quelli antipatici, con cui fate difficoltà a venire in comunicazione.
Mi
ricordo, anni fa, quando mi ribellai, dentro di me, perché la polizia accompagnò da me un prete
pedofilo: lo volevo strozzare tanto era indecente la situazione…ma lo accettai,
e usai un po’ della tenerezza che mi era rimasta,…pochina quella volta lì…
Adesso
c’ho sempre della tenerezza, pero vogli ricordarvi una cosa: mi offendo quando mi chiamano: ‘tenero’ per
compassione, o perché faccio tenerezza. La parola “fare tenerezza” mi offende
molto, non faccio tenerezza, sono ancora vigoroso, ho ancora tanto da dare
e continuerò sempre a darvelo questo amore…e perciò vi dico: vi amo tutti con
tanta Tenerezza…